27 gennaio, 2009

Il piccolo pipel

"Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime. Tranne che una volta. L'Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l'amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un'ingiuria dalla sua bocca. Aveva al suo servizio un ragazzino, un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. (A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l'altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore dell'olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice). Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell'Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi. L'Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare. Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi. Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell'appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l'angelo dagli occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L'ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono. I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi. - Viva la libertà! - gridarono i due adulti. Il piccolo, lui, taceva. - Dov'è il Buon Dio? Dov'e? - domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava. Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. - Copritevi! Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora... Più di una mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: - Dov'è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: - Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca"
(Elie Wiesel, La Notte, 1958)
 


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Daniele Sensi

Ho scritto sull'Unità.it e per il sito dell'Espresso. Sul sito dell'Espresso ho anche tenuto un blog. Ora scrivo per me.


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9 commenti:

  1. ok, non ho il coraggio di fare dell'ironia
    non su questo

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  2. “[..]in Rumkowski ci rispecchiamo tutti, la sua ambiguita' e' la nostra, di ibridi impastati d'argilla e di spirito, la sua febbre e' la nostra, quella della nostra civilta' occidentale che scende all'inferno con trombe e tamburi, e i suoi orpelli miserabili sono l'immagine distorta dei nostri simboli di prestigio sociale [...]come Rumkowski, anche noi siamo cosi' abbagliati dal potere e dal denaro da dimenticare la nostra fragilita', da dimenticare che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto e' cintato, che fuori dal recinto stanno i signori della morte e che poco lontano aspetta il treno” P. Levi ”Lilith e altri racconti”

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  3. Grazie del contributo, Chiara.

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  4. Lacrime e brividi nel leggere questo brano che non conoscevo.

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  5. Vi consiglio La scelta di Reuven di Potok Chaim.

    Aiuta a conoscere il mondo ebraico.

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  6. Ciao...complimenti per il blog davvero molto bello ed interessante!!Se ti interessa uno scambio link fammi sapere!
    Grazie a presto....

    L'Acchiappa Mosche

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  7. ce l ho a casa questo libro però l ho letto tanto tempo fa, magari presto lo rileggo, perchè non mi ricordavo questo pezzo. elie wiesel sa scrivere, pure bene, la sua storia fa capire fino in fondo la tragedia, un po' come il film "il pianista" messo in onda di recente in tv.

    il nazismo è il trionfo della ragione come puro e freddo cinico razionalismo, e l'inaridimento dei sentimenti, la morte del cuore, dove ammazzi i vecchi e i bambini ebrei perchè sono un costo e spari a caso e uccidi arbitrariamente senza nemmeno un motivod ecente per cui farlo.

    la memoria serve a poco se non cambiamo la mentalità delle persone.

    ti ho risposto nel mio blog sperando di continjuare il dibattito, finora positivo. ciao

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  8. Terribile...però leggendo queste cose...capisco che la storia non ci insegnerà mai nulla!
    Gli uomini hanno la memoria troppo corta!

    http://cristianbelcastro.blogspot.com

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