Varese, 19 giugno 1987. La Lega Nord ancora non esisteva, ma, da nemmeno cinque giorni, Umberto Bossi già era senatore, anzi il "Senatùr". Un esordio fortunato per quella Lega Lombarda che egli stesso aveva fondato solo tre anni addietro e che ora, alla sua prima prova nazionale, era riuscita a raccogliere duecentomila voti, eleggendo un uomo anche a Montecitorio. In piazza del Podestà, in una sede di due stanze, computer e caminetto, si analizza il voto, si pianificano strategie e, naturalmente, si festeggia. Una festa che presto volge in lite e la lite in scazzottata.
In due, tra i quali il neo
senatore, si riversano fuori dandole di santa ragione a un terzo, il
quale finirà all'ospedale urlando: "Tirerò fuori il dossier! Ve la farò
vedere!". "C'è stata una semplice colluttazione", dirà poi Bossi: "E' un
bravo ragazzo, era solo un po' agitato e gli abbiamo consigliato di
andare a mangiare un pizza". Quel bravo ragazzo era Pierangelo Brivio,
cognato di Umberto, marito della sorella Angela. Pare che all'origine
del diverbio vi fosse la composizione delle liste: Bossi aveva escluso
Brivio dalla competizione, tenendo per sé la testa di lista in tutte le
circoscrizioni e non facendo correre il cognato nelle due che quello
aveva reclamato. Di lì a breve, Brivio viene espulso dal partito. Per
tutta risposta, Angela Bossi interrompe ogni rapporto
con il fratello e, assieme al marito, fonda un nuovo soggetto politico,
Autonomia Alleanza Lombarda, con il dichiarato obiettivo di strappare
voti alla Lega.
Magri i risultati (un seggio al Pirellone nel
1990 e una manciata di consiglieri comunali nelle successive elezioni
amministrative), ma ampia la copertura mediatica nel 1993, quando Angela
sfida Marco Formentini nella corsa a sindaco di Milano. Alla stampa
dichiara: "Mio fratello è un mantenuto, non ha mai lavorato in vita
sua". Più articolato il marito: "Mio cognato è fuori di testa, si
comporta come Craxi o come i potenti mafiosi del Sud: si crede il grande
imperatore del Nord e invece è soltanto il padroncino di un'azienda in
liquidazione. Ormai la Lega è un partito come gli altri, pronto a
spartirsi le poltrone che il Palazzo mette a disposizione".
Il
giornale di Alleanza Lombarda, primo di tanti partiti che negli anni,
per gemmazione, sarebbero nati da quella che nel frattempo si
costituisce come Lega Nord (compreso il Partito federalista di
Gianfranco Miglio, che della Lega era l'ideologo) additerà Umberto Bossi
come il "nemico numero uno", dedicando intere prime pagine ai "fatti e
misfatti del partito che dice di fare gli interessi dei lombardi ma che
ha tradito la causa autonomista il giorno stesso che ha messo piede a
Roma".
In quegli stessi anni, ben più generoso appare Franco Bossi,
il secondogenito di casa, che confiderà di aver anche lui litigato col
fratello, ma "solo perché la sera io volevo dormire, mentre lui non
voleva saperne di spegnere la luce, perché leggeva, leggeva sempre,
dalla filosofia ai classici greci". Una generosità presto ricambiata.
Licenza di scuola media inferiore, l'unico della famiglia ad essere
rimasto nel paese natale dove manda avanti un negozio di autoricambi,
Franco Bossi, già consigliere comunale a Gallarate, viene dapprima
nominato commissario tecnico della squadra di ciclismo padana, quindi
membro del consiglio di amministrazione Aler, la società che gestisce le
case popolari di Varese, e infine, nel 2004, viene assunto
all'Europarlamento in qualità di assistente accreditato dell'onorevole
Francesco Speroni. Assistente accreditato, ovvero portaborse, ovvero
12.750 euro al mese.
"La lotta per la libertà della Padania
continuerà anche dopo di me, con i miei figli", andava oramai ripetendo
Umberto Bossi nei suoi comizi. Così, al seguito di Matteo Salvini, al
Parlamento europeo ci finisce anche il primogenito Riccardo,
avuto dalla prima moglie Gigliola Guidali. 23 anni, grande ammiratore
di Napoleone ("sono andato anche a vedere il campo di battaglia dove
perse") e già a busta paga, qualche anno prima, di "Made in Padania
Scrl", una delle "cooperative padane" che Umberto Bossi aveva fortemente
voluto nel tentativo di imitare il sistema delle Coop rosse ma che già
allora stavano andando a rotoli, Riccardo Bossi replicherà, serafico,
alle accuse di nepotismo mosse al padre dalla stampa: "Dov'è il
problema? Se uno ha un'azienda chi pensa di inserire? I suoi figli o
degli estranei?". Chiusa la breve parentesi europea (il padre lo farà
tornare per mettere a tacere le polemiche) Riccardo potrà dedicarsi
interamente alla sua vera passione: le gare di rally. Continuerà a
dichiararsi interessato di politica, ma in televisione comparirà solo
più nei rotocalchi rosa, per una storia sentimentale con una delle
ragazze della scuderia Mora.
Il 2004, per Umberto Bossi, è anche l'anno della malattia. Verrà assistito dalla seconda e attuale moglie, Manuela Marrone.
Insegnante del collegio delle suore di Sant'Ambrogio, già eletta al
consiglio provinciale di Varese nel 1987, Manuela Marrone, stratega
occulta e anima nera della Lega secondo gli avversari di quel "cerchio
magico" che attorno a lei , proprio in quei giorni, si dice abbia preso
forma, è "baby-pensionata" dal 1992 (766,37 euro al mese), data in cui,
all'età di 39 anni, decide di ritirarsi dall'insegnamento per fondare,
solo sei anni dopo, la scuola Bosina, ossia una paritaria (materna,
elementare e secondaria) improntata "alla scoperta delle radici
culturali che educa i bambini anche attraverso racconti popolari,
fiabe, leggende e filastrocche legate alle tradizioni locali".
Frequentata
da molti dei figli della nomenclatura leghista varesina, la scuola,
conosciuta anche come "Libera scuola dei popoli padani" , tra il 2009 e
il 2010 beneficia della cosiddetta "legge mancia" , provvedimento,
varato in finanziaria, attraverso il quale i parlamentari dei diversi
schieramenti finanziano enti ed associazioni: in totale, 800 mila euro
per "spese di ampliamento e ristrutturazione". Una somma che manda
finalmente in pari il bilancio di una scuola i cui conti, nell'ultimo
anno, erano stati in rosso di 500 mila euro su un milione di ricavi.
A Manuela Marrone, che della Lega è cofondatrice (da statuto, uno dei
"padri fondatori" cui spetta la funzione consultiva del segretario
federale), si deve certamente la candidatura del figlio
Renzo
alle regionali lombarde, che valgono al trota il seggio al Pirellone. E mentre anche gli altri figli si fanno grandi (uno, Eridano Sirio, compirà la maggiore età nel 2013; l'altro, Roberto Libertà,
che di anni ne ha 21, già si sta facendo le ossa nello staff del
padre), un non ancora noto membro della famiglia Bossi si fa avanti: Matteo Ambrogio Brivio.
Figlio di Pierangelo Brivio e di Angela Bossi, alla morte del padre,
Matteo assume la guida di Alleanza Lombarda e alle amministrative del
2007 si allea con il centrodestra. Successivamente, entra nella Lega
Nord, facendosi eleggere nel comune di Samarate, nel varesotto, dove,
dal 2010, è assessore ai Servizi pubblici e al Patrimonio. Classe
1981, architetto, avremmo voluto saperne di più di lui e del suo
percorso politico, così come avremmo voluto sapere se anche la madre
avesse nel frattempo mutato opinione sulla Lega e sul fratello Umberto.
Di tre email inviate, una sola risposta: "Sia io che mia madre non
riteniamo di aver nulla da dire". Intestazione del mittente ( indirizzo
gmail, mica un indirizzo istituzionale): "Assessore Matteo Brivio".
Nemmeno facesse Bossi di cognome e Renzo di nome.
Daniele Sensi (per l'Espresso)