Una questione culturale. Una tradizione fortemente radicata. Qualsiasi tentativo giornalistico di spiegare un fatto politico è per forza di cose un atto militante. Non può esservi neutralità nella stampa.
Responsabilità, innanzitutto, di una stampa essenzialmente d’opinione. Anche in Francia esiste l’opposizione Destra/Sinistra (Figaro/Libération), ma in Italia tutte le testate sono politicizzate. In maniera schematica potremmo dire: Il Giornale, Il Foglio, Il Tempo, Il Corriere della Sera contro Il Manifesto, L’Unità e La Repubblica.
Nelle scuole di giornalismo, sin dagli esami d'ingresso, domande più o meno dirette tentano di conoscere l’opinione politica dell’aspirante studente. Prassi inesistente in Francia.
Ma ciò che più sorprende è, soprattutto, l’atteggiamento del cittadino (osservatore, lettore e, spesso, militante egli stesso): ai suoi occhi il giornalismo apolitico non esiste, se non come meschinità atta a meglio manipolare e strumentalizzare.
Per mettere in luce e per approfondire tale specificità italiana ho dovuto farne esperienza in prima persona.
E’ ovviamente giusto che esista una stampa d’opinione (tra l’altro l’espressione, in italiano, vuol semplicemente dire “stampa militante”), ma non credo debba essere questo il lavoro di un corrispondente straniero, che al contrario deve riferire della scena politica, nelle sue sfumature e contraddizioni.
Sul mio blog critico quanto va criticato tanto della sinistra quanto delle manovre berlusconiane. Taluni miei post, tradotti, girano per la Rete italiana ed i commenti che li accompagnano sono non solo divertenti, ma anche interessanti e rivelatori.
Esempio: per i siti di sinistra io riprenderei regolarmente gli argomenti della Lega, di cui farei l’elogio, ed i miei reportage accrediterebbero tale prossimità a questo partito autonomista e xenofobo. Al contrario, per i siti di destra (sui quali mi si dà del “compagno”) io sarei peggio di quel vecchio comunista di Massimo D’Alema. E a mo’ di dimostrazione linkano ad una pagina della sezione romana del Partito socialista francese in cui viene annunciata l’intervista (poi annullata) che avrei dovuto fare a Walter Veltroni per France Inter, nei giorni del confronto Aubry/Royal. Questo link sarebbe dunque la prova indiscutibile di quanto io sia comunista.
Ancora più interessante un commento sul blog di Daniele Sensi, commento che butta lì un’affermazione per la quale per meglio comprendere le motivazioni di ciò che io scrivo sarebbe indispensabile sapere per quale partito voto. Per forza di cose io rappresenterei la voce di un partito (in questo caso quello comunista): il giornalismo “imparziale” non esiste, è una menzogna.
Cosa talmente tragica da non far ridere, perché così facendo viene impedita la possibilità stessa di qualsivoglia dibattito o confronto.
Mettiamo che io (dico “io” in senso impersonale) formuli un’idea, ponga una domanda, chieda delucidazioni, interpelli qualcuno. Non avrei risposta, perché nessuno -così come uno scambio di due punti di vista differenti richiederebbe- argomenterebbe a viso aperto. Al contrario arriverebbero colpi alle spalle, falsità sul mio conto, sulla mia vita privata. Si direbbe di miei intrighi, mi verrebbero attribuite relazioni professionali equivoche: io sono un partigiano - o un meschino sobillatore.
Si tratta un po’ del metodo mafioso. La mafia non uccide più, oggi. Essa infanga chi le sta troppo appresso: lo distrugge psicologicamente e socialmente.
Per concludere, un estratto da una corrispondenza privata tenuta con un blogger italiano. Non lo cito, visto che decido solo ora di tradurre e pubblicare queste sue parole senza avergliene prima parlato… Ma ciò che egli scrive è una bella conclusione:
La politica ed il dibattito italiano sono ridotti ad un tifo da stadio: o pro o contro, o bianco o nero, i bravi da una parte e i cattivi dall’altra (…). Io lo amo questo confronto che tanto assomiglia ad una partita di calcio, ma è normale: sono un militante, anche se da qualche anno non ho più tessere di partito in tasca. Ciò che non è normale è che TUTTI partecipino a questo gioco, giornalisti compresi. I giornalisti e gli intellettuali dovrebbero avere invece il dovere di restituire ai loro lettori la complessità del mondo, perché ovviamente il mondo non è tutto bianco o nero (…). (…)
Viviamo sotto tensione come se fosse una guerra civile permanente. E questo non è un bene per la democrazia.
Eric Valmir, 14.06.2009