23 febbraio, 2010

20 febbraio, 2010

Radio Padania: "Purtroppo gli immigrati conoscono la legge"

È l'amaro sfogo di Alessandro Morelli, conduttore di Radio Padania e consigliere di zona a Milano, il quale, incalzato dagli ascoltatori che si lamentano di come, nonostante la Lega al governo, in Italia ci siano ancora troppi immigrati, risponde proprio così, che quelli purtroppo conoscono i propri diritti:  "Quando ad esempio c’è un campo nomadi da sgomberare, noi arriviamo lì, ma loro, chissà com'è, sanno che, se il terreno è di proprietà, per procedere con lo sgombero ci vorrebbe prima la richiesta del proprietario". E dannazione a quei sindacati e a quelle associazioni cattoliche che danno loro "un aiuto esagerato informandoli sulle leggi".

Ascoltare per credere:

 

17 febbraio, 2010

16 febbraio, 2010

Pd a Sanremo

Sul Pd che mobilita il proprio stato maggiore per andarsene a Sanremo, già altri hanno detto. Di mio, aggiungo che ricevere una newsletter da YouDem, l'emittente del partito, con l'invito ad inviare "i filmati più divertenti del Festival, il red carpet, le papere della Clerici, scoop e i gossip della kermesse", è forse segno che i dirigenti del Pd, più che con la gente e con il territorio, abbiano perso il contatto col proprio cervello. 

12 febbraio, 2010

Che cos'è la destra, cos'è la sinistra

"Dopo i Telegatti, Berlusconi mi ha detto: "Bisio, come fa uno come lei a essere di sinistra?". Gli ho spiegato che a 17 anni, nel 1974, scendevo in piazza per il divorzio. E che poi non ho divorziato, mentre lui sì".
(Claudio Bisio, l'Espresso in edicola)
 

02 febbraio, 2010

Le Monde: "Lega Nord responsabile del razzismo italiano. Anche in Calabria"

Philippe Ridet, corrispondente di Le Monde, torna ad occuparsi dei fatti di Rosarno. In un reportage che pone una riflessione: a fronte delle violenze razziste nel sud Italia, ha un senso il tirarsi fuori della Lega, come se essa si limitasse ad amministrare certe zone del Nord e non esercitasse invece il suo potere, per mezzo di quattro ministri e ad una propaganda mediatica che non conosce barriere regionali, sull'intero Paese? 

Traduco:

Due automobili carbonizzate e appoggiate, capovolte, contro una pila di pneumatici usati. All'uscita di Rosarno, sulla strada che attraversa la piana calabrese verso Goia Tauro, sono i soli segni visibili degli scontri che, l'8 e il 10 gennaio, hanno visto fronteggiarsi una parte degli immigrati africani e gli abitanti di questa piccola città calabrese di 15 000 abitanti. Poco distante, due poliziotti sorvegliano l'entrata dell'enorme hangar nel quale, in centinaia, gli africani passavano la notte durante la stagione della raccolta degli agrumi. Un po' di riposo tra due giornate lavorative di 12 ore e pagate 25 euro l'una. 
Oggi più nessuno viene a cercare rifugio in quest'edificio spoglio. "E' strano vedere Rosarno senza africani", si duole Damiano, 16 anni, studente del liceo La Piria. Aveva organizzato, con la compagna Erika, corsi di alfabetizzazione per gli immigrati ed uno spettacolo per Natale. "Gli immigrati si trovavano bene a Rosarno", assicura: "Quelli che li hanno voluti cacciare sono solo una minoranza". "Avevamo avvertito le autorità regionali e quelle locali. Foto alla mano", ricorda Don Ennio Stamile, delegato regionale della Caritas, l'organizzazione cattolica internazionale cui lo Stato italiano pare aver delegato parte della propria politica sociale. "Le condizioni di vita degli immigrati erano insopportabili, un giorno o l'altro doveva succedere. Ma nessuno ci ha ascoltato". 
In due giorni di violenze, Rosano è divenuta il simbolo dell'infiltrazione mafiosa nell'agricoltura locale, dell'intolleranza nei confronti degli stranieri, di una nuova forma di schiavitù e dell'impotenza dello Stato. Presidente della Repubblica, primo ministro e parlamentari sfilano in Calabria. Vengono qui a capire. Perché, in un paese che ha visto emigrare nel mondo 27 milioni dei suoi abitanti, 1500 africani vengono prima atterriti e poi cacciati a colpi di pallettoni? 
Alessandro Campi, direttore scientifico della Fondazione Farefuturo, vicina alla destra, interpreta gli eventi di Rosarno come un "segnale". "Ma", si chiede, "come integrare gli stranieri se il Paese, a distanza di 150 anni dalla nascita dello Stato italiano, non ha ancora trovato una propria identità? Continuiamo ad essere profondamente divisi, immobili, arroccati alle nostre identità locali. L'integrazione presuppone una mobilità sociale ed un convergere di tutti attorno ad un progetto comune". Ai suoi occhi, la società italiana non ha "né l'una né l'altro". "Continuiamo ad affrontare le emergenze come in una sorta di eterno presente". 
A Rosarno, si è dapprima puntato il dito contro la 'Ndrangheta. E' in corso un'inchiesta volta ad accertare se le famiglie mafiose che governano l'economia locale non abbiano provocato deliberatamente la "caccia al nero" per far sloggiare cittadini immigrati divenuti inutili, dal momento che i sussidi dell'Unione europea rendono, ai coltivatori, più della vendita delle arance, dei mandarini e dei kiwi. Colpa della Camorra si era detto, allo stesso modo, nel settembre del 2008, quando, a Castel Volturno, in Campania, sette africani vennero letteralmente giustiziati. 
Colpa dei vicini esasperati, si era invece detto dopo gli incendi, protrattisi dalla primavera all'estate del 2007, di diversi campi rom alla periferia di Napoli e di Roma... La spiegazione è in parte vera. Ma c'è voluto un articolo del quotidiano del Vaticano, l'Osservatore Romano, l'11 gennaio, perché finalmente si parlasse chiaro: "Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all’odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato (...). Non abbiamo mai brillato per senso di apertura, noi italiani, dal Nord al Sud". 
Verona, 260 000 abitanti, nel ricco Veneto, mille chilometri a nord da Rosarno. Qui regna il partito anti-immigrati della Lega Nord. Flavio Tosi, il giovane sindaco leghista, eletto nel 2007 con il 60% dei voti, è stato da poco condannato in via definitiva per istigazione all'odio razziale. Sospensione per tre anni dai pubblici comizi. Sembrerebbe piuttosto evidente un rapporto di causa ed effetto tra il suo discorso (e quello del suo partito) e gli avvenimenti di Rosarno. "La Lega non esiste in Calabria. Perché dovremmo esserne responsabili noi?" 
Già, tuttavia, forte di quattro ministri tra cui quello dell'Interno, è proprio questo il partito che moltiplica le provocazioni razziste. La "criminalizzazione" dell'immigrazione clandestina, passibile oggi di sei mesi di galera? Opera della Lega. La legalizzazione delle "ronde cittadine" per far regnare l'ordine e la tranquillità? Ancora la Lega. L'operazione "Bianco Natale" in una piccola città della Lombardia per recensire ed espellere gli immigrati clandestini prima delle feste? La Lega, sempre lei. 
Una propaganda elettorale vincente: la Lega raccoglie quasi il 30% dei consensi in certe province del Nord e la sua influenza guadagna terreno. "Per la prima volta in Italia dopo il fascismo, forme di razzismo vengono assunte al vertice delle istituzioni", spiega Enrico Pugliese, sociologo dell'Università La Sapienza di Roma. "Questa legittimazione della xenofobia porta a condotte violente sempre più esplicite". 
Nella città di Romeo e Giulietta, gli immigrati rappresentano il 13% della popolazione. Sono divenuti invisibili, confinati in quartieri periferici. La pace sociale, per il sindaco, riposa su un solo pilastro: il rispetto delle regole. "Il sindaco precedente era troppo lassista", spiega: "Ha lasciato che gli immigrati si installassero ovunque, nei parchi e nei giardini della città. Gli abitanti avevano paura. Noi abbiamo aumentato i controlli. Gli stranieri devono sapere che non possono vivere a casa nostra come se fossero a casa loro. L'Italia non è un paese razzista, ma chi non è in regola deve essere punito". 
Gli immigrati puniti, quelli che hanno come unico documento un permesso di soggiorno scaduto ed un foglio di via, li ritroviamo a Caserta, in Campania. La "Tenda di Abramo" è uno dei numerosi centri di accoglienza per quegli africani cui sia riuscito di raggiungere per mare l'Italia prima che l'accordo sui respingimenti con la Libia prosciugasse quel canale d'immigrazione. Sistemato tra due terreni abbandonati, questo squallido edificio, concepito per una ventina di persone, oggi ne ospita 70. Dormono in sei o in otto per camera. 
Assim, giunto dal Togo un anno e mezzo fa, racconta: "Tutti i giorni, verso le quattro e mezza, ci rechiamo su una delle rotonde della città. Vengono a prenderci per i lavori edili. Altre volte si tratta invece delle piantagioni di tabacco. Le giornate lavorative durano dall'alba al tramonto. Mi pagano 25 euro al giorno". Il datore di lavoro non impiega mai due volte di seguito gli stessi immigrati, per timore di essere riconosciuto e denunciato. "Vi capita di stringere buoni rapporti con loro?", chiediamo. "Ci prendono per lavorare, mica per chiederci come stiamo", risponde sferzante Michel Djibo, un ivoriano. 
Andare in giro, avere contatti con la popolazione? Troppo rischioso. Ed anche troppo umiliante. "Nei bar, se chiediamo un caffé, ce lo servono in un bicchiere di plastica. Come se fossimo malati". Mamadou, ivoriano, ha le lacrime agli occhi: "Qui la vita è troppo difficile. Occorre un documento prima di poter cominciare a vivere, a lavorare, a trovar casa. I neri vivono male, malissimo. Viviamo in gabbia. Gli italiani ci trattano come cani. No, nemmeno. Gli animali li trattano meglio". Gianluca Castaldi, che gestisce questo centro d'accoglienza, cerca di spiegare: "Non si tratta necessariamente di razzismo, ma d'invidia. Per i giovani del posto, il massimo dell'ambizione sociale è ottenere un'indennità di disoccupazione. Vedono arrivare della gente che ha rischiato la propria vita per far lavori che loro rifiutano. In fondo, invidiano il loro coraggio". 
Ridotti in uno stato di schiavitù, questi immigrati non hanno scelto l'Italia per caso. Interi settori dell'economia, dell'edilizia e dell'agricoltura, si basano sull'impiego di immigrati clandestini. Più la loro posizione è irregolare e più essi sono malleabili e assoggettabili. "Gli immigrati continueranno a sfidare ogni legge, anche la più restrittiva, finché sapranno che in Italia non c'è bisogno del permesso di soggiorno per lavorare", scrive l'economista Tito Boeri, su Repubblica. 
La situazione non va che peggiorando. Gli immigrati devono oramai attendere dai cinque agli otto mesi per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, mentre la legge prevede un tempo massimo di venti giorni. Volontà deliberata di lasciare questa gente nella precarietà al fine di poterla meglio sfruttare? "La legge produce volontariamente la clandestinità. E' una forma di discriminazione istituzionale", risponde Shukri Saïd, fondatrice dell'associazione Migrare, che ha condotto un lungo sciopero della fame per denunciare le lentezze dell'amministrazione. 
Direttore dell'istituto di studi sociali Censis, che da più di quarant'anni sonda la vita degli italiani, il sociologo Giuseppe de Rita assicura, lui, che, "nei confronti degli immigrati, gli italiani non sono più razzisti degli altri europei, tuttavia sono abitati da un sentimento di superiorità". "Nel 1943 i napoletani", spiega, "hanno provato a raggirare gli americani che venivano a liberarli. Gli italiani si sono sempre sentiti più forti degli ultimi arrivati". 
Philippe Ridet, Le Monde, 2.02.2010 (traduzione di Daniele Sensi)