14 agosto, 2012

«A Londra ci voleva la padanità»

«Un'Olimpiade abominevole, dove i soliti quaquaraquà romani speravano di riuscire a sfruttare i soliti quattro o cinque ragazzi e ragazze padane per lustrarsi, per farsi merito di un'Italia che naviga nell'oro, ma questa volta non è andata così». All'indomani delle Olimpiadi di Londra, anche Radio Padania stende un suo bilancio dei Giochi: in chiave "identitaria e padanista". La trasmissione è "Arte Nord", rubrica culturale condotta dal professor Andrea Rognoni, insegnante di materie letterarie che già in passato si era distinto per aver messo sotto processo Lucio Dalla alla vigilia delle esequie dell'artista, definendolo "un mefistofelico mistificatore simbolo di un'Italia che non vorremmo".

In particolare, Andrea Rognoni si sofferma su tre atleti: Federica Pellegrini, Tania Cagnotto e Alex Schwazer, tre casi che, «in un'Olimpiade disastrosa, una delle peggiori della storia, dove i padani e i peripadani hanno dimostrato abilità e astuzia nel tiro e nella scherma, ma il tiro e la scherma non sono la quintessenza dello sport inteso come prestanza fisica», ci dicono «una volta per tutte, che far gareggiare squadre venete o piemontesi, anziché l'italianità, sarebbe l'unico modo per salvaguardare un patrimonio fisico, atletico, ginnico e morale che non è stato realmente valutato: la padanità».

Una "padanità" - anzi, «una sana padanità, fatta di tradizioni nostre e del nostro modo di vedere e e valutare le cose»- che si è rivelata innanzitutto nella Pellegrini, «una ragazza che rappresenta il fior fiore dell'antropologia padana, alta, slanciata e capace di prestazioni eccezionali», ma che la nuotatrice non ha saputo custodire, andandola a «confondere ed annacquare nella solita italianità romanofila, nelle solite italioticità e pubblicità massmediatica, nel solito polpettone italiota a sfondo romano: da qui il pataracchio, il crollo totale». «Abbiamo rovinato una ragazza, rendendoci, noi padani, conniventi della peggiore italianità», ammonisce Rognoni, amareggiato per «un concetto che è sempre lo stesso: abbiamo svenduto all'Italia e al mondialismo un valore fisico ed atletico eccezionale, nessuno riconoscerà più nella Pellegrini la quintessenza della padanità dal punto di vista antropologico, tutti la confonderanno ancora una volta con la solita Italia degli spaghetti e del mandolino».

A Tania Cagnotto, tuffatrice rimasta fuori dal podio, in lacrime, per meno di mezzo punto, Rognoni dedica invece un appello, con la voce che gli si rompe in gola: «Tania, perché piangere e disperarti? Tania, quella medaglia, combattuta per un'Italia che è lontana mille luci dalla volontà dei popolo padano-alpini, non ti faceva onore. Tania, tu sei una ragazza meravigliosa: perché accanirti in nome di un'Italia bastarda? Noi non vogliamo le medaglie dell'Italia, noi vogliamo le medaglie della Padania, quando la Padania ci sarà». Nell'abbraccio di fine gara tra l'atleta e il padre, Andrea Rognoni coglie «l'immagine più commovente -per chi ha un minimo di sensibilità- di queste Olimpiadi, perché più vicina ad un orizzonte identitario: in quell'abbraccio c'è la trasmissione di valori come la intendiamo noi padani e padano-alpini, valori che il padre, nato e cresciuto a Bolzano, ma che ha una famiglia veneta, ha trasmesso appunto alla figlia». 

Quanto al caso di Alexandre Schwazer, l'azzurro squalificato per doping («un atleta sudtirolese che, come un bambinone grosso, alto e bello, si mette a piangere ammettendo di fronte al mondo di aver sbagliato»), Rognoni parla invece di capro espiatorio. E di razzismo: «Nello sport di oggi il doping è all'ordine del giorno, ma l'atleta altoatesino, che non canta l'inno perché non gliene può fregare di meno, è stato visto come il colpevole, come colui che ha infangato i valori mediterranei con il suo sangue impuro di origine teutonica». E poco importa che l'atleta più che nelle Camicie verdi militasse nell'Arma dei Carabinieri: «Parliamo comunque di Südtirol, un mondo che ha fatto di tutto per combattere Roma. Quella è la marca, quella è l'origine».

 Daniele Sensi (per l'Espresso)

02 agosto, 2012

La differenza tra "terroni buoni" e "terroni cattivi"

Nella giornata in memoria del 'Porrajmos', lo sterminio nazifascista di rom e sinti (in 3000 vennero gasati ad Auschwitz nella sola notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944), Sammy Varin, speaker di Radio Padania, spiega la differenza tra "terroni buoni" e "terroni cattivi":
«Ci sono meridionali che non fanno niente tutto il giorno, quelli che si sono presi la pensione senza meritarla: questi sono i terroni nel senso dispregiativo del termine. Tanto di cappello invece per quei meridionali che valgono cento settentrionali, quelli che sono incazzati cento volte più di noi, quelli che alzano la testa, quelli che magari sparano per aria quando vedono i rom in un campo vicino a casa. Lo sapete perché non ci sono rom in Sardegna? Fatevelo raccontare da un nostro amico leghista duro e puro: "Appena si accampano qui, nel campo vicino, un giorno, due giorni e poi inizio a sparare per aria e vedi che scappano tutti, immediatamente, non ne rimane uno". Quelli sanno che non bisogna scherzare con determinate popolazioni, come anche i siciliani e i calabresi: in determinate zone, gli immigrati ci passano e ci stanno mezzoretta o un oretta, non di più, altrimenti non si sa che fine facciano.»
Di seguito l'audio:
 

 

(per il blog dell'Espresso)