05 marzo, 2012

Il Carroccio processa Lucio Dalla

«Parlare male di uno che è appena morto non va bene e non lo faremo neppure noi, tuttavia non avremo pietà da questo punto di vista perché bisogna pur dirlo, bisogna pur denunciarlo che Lucio Dalla è stato anche il simbolo di un'Italia che noi padani non vorremmo»: è un autentico processo all'artista scomparso quello andato in onda su Radio Padania sabato scorso, alla vigilia delle pubbliche esequie tenutesi domenica a Bologna e mentre in Piazza Grande già veniva allestita la camera ardente.

Andrea Rognoni, conduttore della rubrica "Arte Nord" (espressione di un'omonima associazione che per lo più organizza viaggi guidati verso mete di interesse "padano" - tra i più recenti: "Tour Cornovoglia-Stonehnge alla ricerca del Sacro Graal"; "Viaggio in Sudtirol in visita alla mummia Otzi, primo Homo padanus"; "Pellegrinaggio a Lourdes per il riconoscimento della Padania"), rimprovera al cantautore bolognese di essere stato un grande sì, ma di una grandezza «mefistofelica» al servizio di quell'Italia che «nel suo complesso è una macchina diabolica la quale anche attraverso la musica annienta le dignità dei popoli». E, nel farlo, arruola suo malgrado Guccini: «Se Guccini è uno zampone emiliano, lui è un salmone affumicato di marca straniera, perché, seppur a modo suo, Guccini si sente figlio di una padanità che fa sentire il senso e il significato dell'essere nati padani» mentre Dalla «è un prestidigitatore, un mistificatore» che «se è vero che difendeva i dialetti lo faceva per una malizia sottile, ossia per costruire un'Italia più centralizzata».

Soprattutto, però, «il padre di Dalla era bolognese, era padano, ma la madre non lo era, e questa doppiezza, che è poi anche la doppiezza di tante coppie che vivono attualmente in terra padana, è stata la sua forza nel riuscire a decifrare anche quelle che erano le richieste che venivano dal sud». Un merito? No, un «inghippo», perché «a noi l'eclettismo è sempre piaciuto, noi stessi ci definiamo eclettici, ma l'eclettismo di Dalla era un eclettismo calcolato, mirato per riuscire ad accontentare specialmente i gusti del pubblico del centro-sud, imbastendo racconti suggestivi e credibili legati alle più struggenti note italiane-italiote».

Ecco perché "Caruso" («calco di una nota opera lirica le cui note anche un bambino può riconoscere») «sebbene celebrato come il suo miglior pezzo è in realtà il più stucchevole», prosegue Rognoni, il quale non risparmia neppure "4 marzo '43" e "L'anno che verrà", accusando la seconda di proporci «l'assurda utopia di un mondo dove non c'è da lavorare perché il lavoro sono i padroni che ce lo impongono, mentre noi dovremmo emanciparci trombando», e la prima di «eresia», giacché «quel Gesù Bambino che sembrava tanto innocente era in realtà figlio di una puttana».

Le sole canzoni che il professor Rognoni si sente di salvare, le sole «che si fanno ricordare ed apprezzare», sono quelle «ambientate in Padania»: "Milano", "Piazza Grande" e "Nuvolari". "Milano" solo in parte, per la verità, poiché «Dalla è molto bravo a cogliere alcuni aspetti di Milano e a ricucirli come in un collage, ma dimentica la Milano padana». Mica per colpa sua, però: «Forse è perché la sua parte padana derivata dalla madre gli si ribellava», osserva, magnanimo, Rognoni, prima di mettere in guardia gli ascoltatori dalle «esequie-spettacolo» del 4 marzo: «Sarà un evento mediatico che ci obnubilerà e ci stordirà, perché Dalla rappresentava Bologna, quella Bologna dal cuore aperto che accoglie e che raccoglie tutti e che dialoga con le forze della Rivoluzione e della globalizzazione, quindi stiamo ben attenti». 

 Daniele Sensi (per l'Espresso)



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Daniele Sensi

Ho scritto sull'Unità.it e per il sito dell'Espresso. Sul sito dell'Espresso ho anche tenuto un blog. Ora scrivo per me.


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