«Parlare male di uno che è appena morto non va bene e non lo faremo
neppure noi, tuttavia non avremo pietà da questo punto di vista perché
bisogna pur dirlo, bisogna pur denunciarlo che Lucio Dalla è stato
anche il simbolo di un'Italia che noi padani non vorremmo»: è un
autentico processo all'artista scomparso quello andato in onda su Radio
Padania sabato scorso, alla vigilia delle pubbliche esequie tenutesi
domenica a Bologna e mentre in Piazza Grande già veniva allestita la
camera ardente.
Andrea Rognoni, conduttore della rubrica "Arte
Nord" (espressione di un'omonima associazione che per lo più organizza
viaggi guidati verso mete di interesse "padano" - tra i più recenti:
"Tour Cornovoglia-Stonehnge alla ricerca del Sacro Graal"; "Viaggio in
Sudtirol in visita alla mummia Otzi, primo Homo padanus";
"Pellegrinaggio a Lourdes per il riconoscimento della Padania"),
rimprovera al cantautore bolognese di essere stato un grande sì, ma di
una grandezza «mefistofelica» al servizio di quell'Italia che «nel suo
complesso è una macchina diabolica la quale anche attraverso la musica
annienta le dignità dei popoli». E, nel farlo, arruola suo malgrado
Guccini: «Se Guccini è uno zampone emiliano, lui è un salmone
affumicato di marca straniera, perché, seppur a modo suo, Guccini si
sente figlio di una padanità che fa sentire il senso e il significato
dell'essere nati padani» mentre Dalla «è un prestidigitatore, un
mistificatore» che «se è vero che difendeva i dialetti lo faceva per una
malizia sottile, ossia per costruire un'Italia più centralizzata».
Soprattutto, però, «il padre di Dalla era bolognese, era padano, ma la
madre non lo era, e questa doppiezza, che è poi anche la doppiezza di
tante coppie che vivono attualmente in terra padana, è stata la sua
forza nel riuscire a decifrare anche quelle che erano le richieste che
venivano dal sud». Un merito? No, un «inghippo», perché «a noi
l'eclettismo è sempre piaciuto, noi stessi ci definiamo eclettici, ma
l'eclettismo di Dalla era un eclettismo calcolato, mirato per riuscire
ad accontentare specialmente i gusti del pubblico del centro-sud,
imbastendo racconti suggestivi e credibili legati alle più struggenti
note italiane-italiote».
Ecco perché "Caruso" («calco di una
nota opera lirica le cui note anche un bambino può riconoscere»)
«sebbene celebrato come il suo miglior pezzo è in realtà il più
stucchevole», prosegue Rognoni, il quale non risparmia neppure "4 marzo
'43" e "L'anno che verrà", accusando la seconda di proporci «l'assurda
utopia di un mondo dove non c'è da lavorare perché il lavoro sono i
padroni che ce lo impongono, mentre noi dovremmo emanciparci
trombando», e la prima di «eresia», giacché «quel Gesù Bambino che
sembrava tanto innocente era in realtà figlio di una puttana».
Le sole canzoni che il professor Rognoni si sente di salvare, le sole
«che si fanno ricordare ed apprezzare», sono quelle «ambientate in
Padania»: "Milano", "Piazza Grande" e "Nuvolari". "Milano" solo in
parte, per la verità, poiché «Dalla è molto bravo a cogliere alcuni
aspetti di Milano e a ricucirli come in un collage, ma dimentica la
Milano padana». Mica per colpa sua, però: «Forse è perché la sua parte
padana derivata dalla madre gli si ribellava», osserva, magnanimo,
Rognoni, prima di mettere in guardia gli ascoltatori dalle
«esequie-spettacolo» del 4 marzo: «Sarà un evento mediatico che ci
obnubilerà e ci stordirà, perché Dalla rappresentava Bologna, quella
Bologna dal cuore aperto che accoglie e che raccoglie tutti e che
dialoga con le forze della Rivoluzione e della globalizzazione, quindi
stiamo ben attenti».
Daniele Sensi (per l'Espresso)
Tag: andrea rognoni, guccini, I deliri di Radio Padania, lega nord, lucio dalla, radio padania
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