11 dicembre, 2008

Le Monde: "La Lega Nord seduce i populisti europei"

Su Le Monde, un breve resoconto del convegno che, agli inizi di dicembre, ha riunito in Francia la crème del populismo europeo (ne avevo scritto qui).

Il Club de l’Horloge, un think tank che riunisce intellettuali di destra e di estrema destra, ha tenuto a Parigi, sabato 6 e domenica 7 dicembre, la sua ventiquattresima università annuale il cui tema era: “Il populismo, una soluzione per l’Europa in crisi”.  

Erano invitati alcuni degli eurodeputati dei principali partiti populisti e xenofobi europei: Johannes Hübner per l’FPÖ austriaco, Francis Van den Eynde del Vlaams Belang (Belgio) e Mario Borghezio della Lega Nord italiana.  

Per il presidente del Club de l’Horloge, Henry de Lesquen, è soprattutto il “modello italiano che occorre seguire”, ricordando che, dei tre partiti, la Lega Nord è la sola a partecipare ad un governo. Fedele alla linea del suo circolo intellettuale, che lavora per una “unione della destra” che vada fino al Fronte nazionale (FN), de Lesquen ha difeso l’idea secondo la quale, in Francia, “i populisti devono partecipare a coalizioni di governo per ridurre il fossato che li separa dal popolo”.  

Tutti gli intervenuti hanno additato i media e gli intellettuali “di sinistra” come responsabili della “demonizzazione” del populismo. Ma è stato Borghezio il più applaudito, soprattutto quando ha elencato le riforme ispirate dal suo partito come la reintroduzione del “grembiule per gli scolari”, o ancora quando ha sostenuto la necessità di “introdurre il tema dell’identità culturale e della sua difesa da ogni suo nemico” al cuore della politica.  

Accoglienza molto più fredda, invece, quando il deputato europeo ha spiegato che il suo partito ha dovuto votare in favore del trattato di Lisbona per far passare, in cambio, quelle riforme tese a rendere più severa la politica italiana sull’immigrazione.  

“CONQUISTARE GLI SPIRITI”  

Nella sala che contava un’ottantina di persone, per lo più anziane, c’erano membri del Club, vecchi quadri del FN, come Bernard Antony, vecchio capofila dei cattolici tradizionalisti in senso al FN, e Jean-Yves Le Gallou, che aveva seguito Bruno Mégret all’epoca della scissione del partito nel 1998. Ma anche un nuovo arrivato, Fabrice Robert, presidente del Blocco identitario, un gruppo di estrema destra radicale. Affermando di essere stato “invitato a titolo amichevole da Henry de Lesquen”, Robert, che non figurava sulla lista dei relatori, ha partecipato al dibattito di chiusura del sabato, al fianco di Le Gallou e de Lesquen.  

Sul palco, Robert ha vantato le azioni del Blocco identitario come “le ronde dei militanti nelle zone del racket” e la “distribuzione di zuppa di maiale” ai senzatetto – misure, queste, molto applaudite dalla sala. Ma Fabrice Robert ha anche svelato parte della strategia del suo gruppo politico: “Vogliamo conquistare gli spiriti e intervenire sul terreno sociale. Seguiamo una logica di "entrismo" in sindacati come l’FO (Forza operaia, ndt) o la CFTC (Confederazione francese dei lavoratori cristiani). D'altronde già alcuni delegati dell’FO appartengono al Blocco identitario.”  

Abel Mestre, 8.12.2008, Le Monde (traduzione di Daniele Sensi)


09 dicembre, 2008

Radio Padania contro il cardinale Tettamanzi: "E' un infiltrato in una Chiesa oramai marcia"

Dura replica dalle onde di “Radio Padania Libera” alle parole del cardinale Tettamanzi, l’arcivescovo di Milano che durante le celebrazioni di Sant’Ambrogio ha lamentato la carenza di strutture in cui i fedeli musulmani possano praticare il proprio culto. 

Ospite della rubrica settimanale dell'associazione “Padania Cristiana” (di cui è presidente l’eurodeputato Mario Borghezio), il lefebvriano don Floriano Abrahamowicz,  membro della Fraternità tradizionalista di San Pio X e celebratore ufficiale del culto negli incontri dell’associazione, ha invitato gli ascoltatori a diffidare non solo di Dionigi Tettamanzi («ultimo esempio degli infiltrati che durante ogni rivoluzione -inglese, francese, bolscevica e, ora, mondialista- tentano di sovvertire la Chiesa dal suo interno») ma della stessa Santa Sede. 

«Non crediate che Tettamanzi rappresenti l’ala di sinistra in una Chiesa comunque guidata dal conservatore Ratzinger, perché è la Chiesa conciliare tutta intera ad essere in realtà alleata di quei poteri forti che, tramite l’islamizzazione dell’Europa, mirano al dominio del mondo secondo un disegno anticristico». Preludio all'ennesimo  discorso cospirazionistico. Pensare che, liberalizzando la messa tridentina (quella in latino) con la pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, l'intento di papa Benedetto XVI, preoccupato di riconciliare la Chiesa al suo interno, era proprio quello di tendere una mano al variegato movimento dei cattolici tradizionalisti (i quali rifiutano la liturgia e l’ecumenismo del Concilio Vaticano II – Concilio, ricordiamolo, col quale è anche avvenuto il definitivo superamento dell'antigiudaismo  teologico). 

Quell’ingrato di don Floriano, invece,  s’è messo a spronare gli ascoltatori «a rifiutare i sacramenti e il catechismo della Chiesa romana» e «a disertare le stesse strane messe in latino da poco concesse», esortandoli a visitare il sito della Fraternità «onde trovare la cappella o la chiesa più vicina in cui viene praticata la fede cattolica di sempre». Ai pii radioascoltatori non è stato però detto che il fondatore della Fraternità San Pio X, Marcél Lefébvre, è incorso in scomunica nel 1988, né che secondo il diritto canonico di quella «Chiesa conciliare il cui sistema è marcio» (sono parole di Abrahamowicz) tale organizzazione tradizionalista vive in situazione di “scisma” e, i suoi aderenti, di “separazione”. 

In passato, tra una benedizione al “Parlamento del Nord” ed una messa officiata al cospetto di Umberto Bossi («non sono un fervente fedele, ma questi canti ti liberano e ti trasportano in una dimensione più spirituale»), don Floriano non s’è lasciato sfuggire occasione per oltraggiare i partigiani («poveri ignoranti che combattevano per la perversa setta del comunismo») e per onorare i caduti di Salò («vittime innocenti perché i loro assassini non facevano parte di un esercito legittimo»), arrivando a manifestare indulgenza nei confronti di personaggi come Erich Priebke, che lui rifiuta di definire “boia”, poiché «la rappresaglia è un triste aspetto della guerra, e Priebke l’ha compiuta col cuore pesante».

«Ma come può Tettamanzi non rendersi conto che quello dell’Islam è un messaggio di violenza che non può convivere con l’amore del nostro Vangelo? », si lamentava un ascoltatore. Floriano Abrahamowicz ha risposto citando Sant’Ambrogio, «che aveva una sua polizia personale con la quale metteva ordine nella città». Ma avrebbe anche potuto rispondere come fatto a Rimini, lo scorso ottobre, durante un convegno sull’“usurocrazia del signoraggio” (edizione riveduta ed aggiornata delle teorie sul complotto demo-pluto-massonico e, all’occorrenza, giudaico): «Con il sorriso sereno dobbiamo brandire la spada come quei cavalieri che, con Gesù Cristo nel cuore, combattevano il nemico senza odio, seppur con violenza».

Daniele Sensi (per l'Unità.it)

01 dicembre, 2008

Contro Sergio Chiamparino

Non è nevicato abbastanza, questo fine settimana, nel nord Italia. Non abbastanza da fermare Sergio Chiamparino, che, febbricitante, è riuscito a raggiungere gli studi di Lucia Annunziata. Febbricitante ed afono. Ma, anche qui, non afono abbastanza. E così gli è riuscito di infilare nell’intervista quella dichiarazione di intenti che è suonata come una voce alle spalle che ti dice di saltare davanti al baratro: “Sei nato di sinistra, morirai leghista”. 

Si sa, Chiamparino & Co. (Penati e Cacciari) amano il federalismo. Lo adorano. Oramai non vivono per altro. Ci si chiede come abbiano vissuto fino all’altro ieri, quando la politica passava per circoli, e sezioni, e comitati provinciali, e comitati regionali, e su su fino al mega comitato politico centrale. Eppure il Partito era radicato sul territorio come più sarebbe stato. Ora l’Italia si avvia a varare il proprio federalismo fiscale. E quei tre, non paghi, pure il Partito lo vorrebbero federato. “Ma non lo si chiami Partito del Nord”, precisano, “giusto un coordinamento settentrionale”. 

“Autonomia! Atonomia!”, il suono della lama sul collo di una nazione la cui testa rotola in un catino di zinco. Allora ringrazieremo Berlusconi, le cui tre reti televisive saranno l'ultima parvenza di un’Italia Una e non trina. 

Era un invito al sogno, quello del 14 ottobre del 2007. Ma a Chiamparino i sogni non piacciono. Preferisce gli incubi. “Siamo aperti a stringere alleanze con la Lega Nord”, ha detto dall’Annunziata. Ecco a cosa gli serve tutto quell’autonomismo. E nella processione funebre vorrebbe coinvolgere per intera l’Italia democratica del nord. Ad esclusione dell’Emilia-Romagna, però, perché “non omogenea”. Deve averla imparata male, la lezione: i suoi mentori leghisti considerano l'Emilia-Romagna parte del  territorio celtico, “padano”. Il democratico Sergio Chiamparino avrà studiato da Gentilini. 

L'alleanza è possibile “a condizione che la Lega metta da parte l’impianto populistico che la tiene assieme”, ha tuttavia precisato il sìndich ëd Turin. Ma se è il populismo a tenerla assieme, la Lega rinunciandovi non esisterebbe più, ed allora Chiamparino, alla fine, con quale diavolo di un partito la potrebbe stringere,  la sua alleanza? Una firma dal notaio: "Ci impegniamo a non dichiarare mai e mai più 'Roma ladrona, paga Pantalone per il mangione terrone, abbasso il culattone, l’immigrato lo infilzo col forcone'".

Chiamparino sa quel che dice. "A condizione che la Lega metta da parte il populismo” serve solo a rassicurare gli elettori. Politicamente significa invece: Lega e il "Pd del Nord" mettano da parte ciò che li distingue in nome della comune lotta contro il centralismo romano. Ciò che a Chiamparino sfugge, però, è che la vocazione leghista è proprio quella di “movimento né di destra né di sinistra che riunisca la gente del nord quale che sia l’orientamento politico dei singoli”. Alla Lega danno vita militanti e simpatizzanti cresciuti nell’estrema destra così come nell’estrema sinistra, ma anche liberali, socialisti, cattolici e radicali. Un movimento, appunto, e non un partito: “Prima ci uniamo per riconquistarci la Padania, poi potremo tornare a dividerci sulla base degli orientamenti politici di ognuno”. Chiamparino non ha dunque bisogno di indirizzare velate minacce di secessione politica al comitato di garanzia nazionale del Pd. La creatura dei suoi sogni già esiste. Non ha che da fare domanda di ammissione. In Lega accolgono a braccia aperte “chi viene per lavorare”.