06 aprile, 2012

«Il vero scandalo? I soldi ai terroni»

Belsito una trappola dei servizi segreti e della magistratura, messo lì per far fuori il Carroccio. Lo sostiene il deputato leghista Alberto Torazzi, intervenuto, nella tarda serata di giovedì, su Radio Padania: «Se Belsito è arrivato lì con quel fardello e con quei contatti preoccupanti è chiaro che il potere romano lo sapesse e che i servizi segreti e la magistratura hanno preparato questa polpetta avvelenata e l'hanno cucinata per bene per poi far fuori Umberto Bossi». 

«E' stato sollevato un polverone per niente», ha inoltre aggiunto l'onorevole, «perché Bossi, che per dieci anni ha vissuto in un monolocale spendendo per il movimento tutti i soldi che incassava, è un uomo che dopo il malore del 2004 aveva una famiglia da mantenere e se il Consiglio federale avesse stabilito un fondo di 50, 100 mila euro a sua disposizione nessuno avrebbe avuto niente da ridire, poiché 50, 100 mila euro l'anno, dal 2004 al 2012, fanno 800 mila euro, quindi il doppio della cifra ora contestata». 

«Il vero scandalo sono i 400 miliardi di euro che pur stando in Padania vengono gestiti da leggi stabilite dai nostri cuginetti terroni», ha infine concluso Alberto Torazzi, prima di prendersela con i tre parlamentari della Lega che già un anno fa avrebbero presentato un esposto in Procura sul conto del tesoriere Belsito: «Spero che questa notizia sia falsa, perché ricorrere alla magistratura italiana, invece che risolvere internamente il problema, sarebbe la cosa che mi rattristerebbe di più, poiché vorrebbe dire che noi abbiamo ancora in giro personaggi che credono di poter avere giustizia e legalità passando dagli apparati dello Stato italiano, mentre dovremmo avere invece il coraggio degli irlandesi e dei baschi». 

Un riferimento al «coraggio» degli irlandesi e dei baschi, ovvero all'abbandono della via non-violenta fino ad oggi tenuta dal Carroccio, anche nelle parole dell'eurodeputato Mario Borghezio, pure lui intervenuto su Radio Padania: «Sarebbe stato da pazzi pensare che l'unico movimento che si oppone al governo della Trilaterale e del Club Bilderberg non si dovesse aspettare una qualche grande puttanata, ma stiano ben attenti a non tirare troppo la corda questi signori che vomitano contro Bossi e contro la Lega, perché forse la colpa di noi patrioti padani è di essere troppo pacifici, ma molti di noi la pensano esattamente come i baschi, e io sono uno di quelli». 

Contrario alla via gandhiana anche Giuliano Citterio, speaker dell'emittente: «E' l'inizio della nuova dittatura romana contro il popolo padano: spero che contro i feroci colonizzatori di oggi si metta in cantina Gandhi». 

E su Radio Padania si è fatto sentire lo stesso Umberto Bossi, il quale, dopo aver ribadito la tesi del complotto («Questo è il Sistema che si difende, perché com'è possibile che noi abbiamo un amministratore collegato a famiglie dell'ndrangheta e nessuno lo abbia fermato prima, avvisandoci?»), ha meglio spiegato le ragioni delle proprie dimissioni: «L'ho fatto per il movimento, che così può meglio liberarsi delle beghe; ma anche per me, perché fossi rimasto lì avrei dovuto procedere a eventuali interventi sui figli». Insomma ragioni di convenienza personale, non solo l'immagine agiografica del leader che, tra le lacrime dei militanti, si immola per la Causa («l'unico segretario che, appena lambito dal sospetto, abbia avuto il coraggio di dimettersi»). 

L'impressione, per la verità, è che davvero Bossi, più che un passo indietro, abbia voluto fare un passo di fianco, per lasciare agli altri il lavoro 'sporco' e tornare in pista a 'pulizie' ultimate: «Nessuno all'interno della Lega può farmi le scarpe: tra pochi mesi c'è il Congresso, e saranno il Congresso e la militanza a riprendere in mano le regole», ha rassicurato Bossi a conclusione del suo intervento. 

Non sarebbe quindi un caso se qualcuno nel Consiglio federale mal vedesse le dimissioni del segretario, il quale, rimanendo in carica fino al Congresso del prossimo autunno, sarebbe stato trascinato a fondo assieme al "cerchio magico". Con le sue dimissioni, la base si è invece ricompattata attorno a quello che Roberto Ortelli, conduttore di Radio Padania Libera, in questa settimana di Pasqua oramai definisce, in termini escatologici, un «Dio»: «Il Venerdì santo ci insegna che dal dolore più grande, dalla crocifissione e dal deicidio, nasce la gioia più grande, la certezza della Salvezza, la resurrezione del Dio vero, del Re dei Re, e del suo trionfo sul Male». 

Nell'attesa della Redenzione, sulle pagine Facebook di area leghista si susseguono gli appelli a mettere da parte le divisioni tra "maroniani" e "cerchisti", mentre si moltiplicano gli strali contro le origini meridionali di Belsito («terrone sei e terrone resterai», «mai fidas dì terù!», «prima o poi il terrone ti incula»), Rosy Mauro («sangue non mente», «questa è la prova provata che i terrun son terrun senza eccezioni», «mi sono sempre chiesta cosa ci facesse questa faccia da terrona sul palco della Lega») e Manuela Marrone, moglie del Senatur: «Sarà un caso, ma dall'interno ci hanno rovinato i meridionali». 

E se qualcuno annota, sarcastico, che «non si dice terrone, altrimenti ci criticano», altri, come la sezione Lega Nord di Cairate, rilanciano: «Vero, non si dice terrone: si dice terronazzo!». Il peggiore, un militante dei giovani padani di Torino: «Purtroppo ho il cognome terrone per un mio lontano parente, ma per fortuna io sono nato in Padania e la maggior parte dei terroni mi fanno schifo, non hanno voglia di fare un cazzo e puzzano che sembra che non si lavano da 100 anni». 

Daniele Sensi (per l'Espresso)



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Daniele Sensi

Ho scritto sull'Unità.it e per il sito dell'Espresso. Sul sito dell'Espresso ho anche tenuto un blog. Ora scrivo per me.


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